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La politica dell’integrazione contro la cultura del coltello

La politica dell’integrazione contro la cultura del coltello

di Piero Innocenti

Il gravissimo episodio accaduto in pieno centro a Modena, alcuni giorni fa, con uno straniero accoltellato a morte da due uomini, pure stranieri, identificati e fermati poco dopo dai poliziotti, non è un episodio isolato e va inquadrato nel contesto nazionale dove, da almeno due anni a questa parte, si susseguono moltissime violenze, anche ad opera di giovani, che usano in maniera spregiudicata i coltelli per risolvere liti, anche banali, contrasti di vario genere spesso collegati al controllo delle piazze di spaccio di stupefacenti o semplicemente per compiere azioni delittuose. Non era mai accaduto, negli anni passati, di annotare così tanti episodi quotidiani di accoltellamenti, in diverse città, come sta accadendo negli ultimi tempi.
Solo a luglio ed agosto ho annotato centotrenta episodi di “coltelli facili” conclusi, nella maggior parte dei casi con lesioni dolose anche gravi e, in almeno quattro casi, con esiti mortali. Il particolare, poi, certamente importante, che le forze di polizia in tali casi siano riuscite, spesso, ad arrestare gli autori di tali reati (e, comunque, a identificarli e denunciarli), non attenua il forte allarme tra i cittadini e la preoccupazione delle autorità di pubblica sicurezza locali. Se nel 2021 i delitti denunciati di lesioni dolose erano stati ben 16.531 , in buona parte determinati dall’uso di coltelli e/o di strumenti da punta, nel 2022 vi è stato un ulteriore incremento dell’1,4% mentre in questi primi sette mesi del 2023 – ma il dato è provvisorio - siamo già a circa ottomila delitti denunciati che comprendono anche i casi catalogati dalla polizia giudiziaria come tentati omicidi.
La sensazione è che le persone, in generale, si siano incattivite e che ciò possa essere ricollegabile in qualche misura al forte disagio economico sociale che si vive (destinato ad aumentare), oltre ad altri fattori. Un dato è certo ed è quello che nella maggior parte dei casi segnalati sono gli stranieri (marocchini, pakistani, albanesi, tunisini, nigeriani) i colpevoli di tali gravi fatti e, senza voler etnicizzare la devianza , su questo punto di deve riflettere, partendo anche da una più decisa integrazione degli stranieri ( il 20,3% sul totale di oltre 5 milioni, degli stranieri residenti in Italia, sono minori) che fatica a realizzarsi nonostante il grande impegno della Chiesa, di alcuni sindaci, del volontariato e di singoli cittadini particolarmente sensibili al tema.
Questa situazione di forte disagio sociale e familiare che vivono gli stranieri, i giovani in particolare ( 12.188 i minori non accompagnati giunti anche quest’anno), in alcune città, la diffidenza che in alcune zone si manifesta verso di loro, contribuisce senza dubbio ad alimentare comportamenti devianti che sfociano anche in gravi reati ( nelle carceri, a luglio scorso, il 31% dei detenuti è straniero). C’è chi sostiene la necessità di inasprire le sanzioni penali riguardanti il porto fuori della propria abitazione, senza giustificato motivo, di strumenti da punta o da taglio modificando, così, l’articolo 4 della legge 110/75 che punisce il contravventore con l’arresto da 6 mesi e 2 anni e l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Personalmente non credo che pene più severe abbiano questo effetto deterrente, come l’esperienza insegna ( per esempio il c.d. decreto Cutro con il forte aumento di sanzioni penali per scoraggiare i trafficanti di esseri umani dopo il drammatico naufragio di 93 migranti del febbraio 2023, non è servito a molto) e credo, invece, che una accentuata azione di vera integrazione, sostenuta seriamente dal Governo, possa attenuare di molto questo fenomeno di violenza che non può essere controllato solo dalle forze di polizia.

(© 9Colonne - citare la fonte)