Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Toni Servillo, Italia
a quel paese

Toni Servillo, Italia <BR> a quel paese

Se c’è una malattia di cui soffre l’Italia è il diffuso disprezzo di sé. In ogni campo. Arriva prima ed ha più spazio mediatico il difetto della virtù, sempre, tanto che alla fine credi che la virtù non abbia più residenza nel Belpaese. E’ una rappresentazione oltre che masochista, falsa. Per esempio dal 1997 l’Italia non prende un Oscar (era allora la volta de “La vita è bella” di Benigni, come migliore film straniero), viene da pensare che quell’anno ci fu una sospensione della malattia di cui soffre il Paese, infatti prendemmo anche il Nobel per la Letteratura con Dario Fo. Qualcuno se n’è accorto e ha lanciato un anatema durato circa 17 anni. Sarebbe il caso di non stuzzicar jettatore che dorme, ma senza retriva superstizione registriamo che è stato un “vaffa” a risvegliare dal sonno di sé, colui che sputa nella terra dei fuochi in cui mangia: abbiamo una nomination! Zitti, zitti. (Una nomination!). Avevamo appreso dell’assegnazione del Golden Globe al film di Paolo Sorrentino “La Grande Bellezza” come un sinistro presagio, “vuoi vedere che succede di nuovo”, temeva l’animo mortificato dello spettatore autodistruttivo, quindi italiano. E mentre altrove il film con dentro uno dei migliori Servillo, questo Gambardella a cui nel disincanto totale della propria persona, allegramente rotta ad ogni esperienza, superstite di sé solo per assistere meglio al proprio tiepido fallimento, veniva incensato, si scrivevano paroloni, si parlava di capolavoro, da noi al contrario qualcuno è stato stitico. Non era mica il caso dell’ovazione peninsulare al completo, no, però abbiamo una nomination. Una nomination! E dunque che succede alla notizia di “La Grande Bellezza” che corre come miglior film straniero? Che un’incolpevole quanto graziosa telegiornalista di Rai News, invece della sempre meravigliosa intervista telefonica a Quagliariello (già di nome adatto ad una farsa alla De Filippo), si ritrova un distratto, forse stanco, certamente in viaggio Toni Servillo, al quale mette davanti prima l’iceberg del difetto (le polemiche) che non il vulcano delle virtù (la nomination. Oh, abbiamo una nomination!), e allora complice un tunnel, la linea che prende e non prende, la farsa la condisce lui di italianità, con un secco “vaffanculo”, spentamente iracondo, come quegli schiaffi che terminano in buffetti. E la linea cade, tu, tu, tu, hai capito chi ci va a quel paese, tu, tu. Abbiamo una nomination. Che la nomina diventi nomea, che arrivi o no la statuetta, non importa. Nel mondo sussurrato dei tweet, è già una vittoria. Eppure stiamo ancora qui a flagellarci con le polemiche, con le polemiche di gusto, come fosse un peccato godere delle proprie virtù, ad intervalli di 17 anni. Persino il suggeritore di Word, quando scrivi in italiano, rifiuta il piacere e sottolinea di verde l’espressione, logora a dir suo, del “godere delle proprie virtù”. Vaffanculo pure Word. In questo insulto che Servillo ci regala ad arte, c’è la più ventrale difesa dell’orgoglio patriottico, contro la malattia di cui soffre l’Italia: il disprezzo di sé. Che vada affanculo il disprezzo di sé, che voli alta la Grande Bellezza. E ci vediamo tra 17 anni.

 

Valerio de Filippis

(© 9Colonne - citare la fonte)