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ALBERTAZZI E PROCLEMER,
LA SCENA DELL’AMORE

 ALBERTAZZI E PROCLEMER, <BR>LA SCENA DELL’AMORE

“Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte”: tanto leopardiano è stato il legame tra Giorgio Albertazzi e l’amata Anna Proclemer, scomparsa pochi giorni fa, che è difficile non ricamarci sopra. E’ difficile non vedere nel lutto di una grande attrice quasi novantenne, oltre al cordoglio naturale d’ogni morte, vieppiù se celebre, anche un che di rappresentazione tragica shakespeariana. Proviamo a ricucire: Anna conosce lo scrittore Vitaliano Brancati e lo sposa (è il 1946), siamo dunque nella seconda metà degli anni Quaranta. Dal loro amore nascono due cose: dapprima la figlia Antonia, (è stata lei a diffondere la notizia della scomparsa della madre), e un romanzo tra i più importanti della prima metà del Novecento, “Il bell’Antonio” (1949), che della bellezza maschile svela un aspetto fin lì poco esplorato, quello dell’impotenza. Antonia, la figlia, Antonio il ragazzo siciliano che ammalia donne d’ogni età, che sembra un dio in terra, che però dietro al mistero del suo fascino nasconde la drammatica condizione della propria mancata virilità. E’ la parabola dell’amore: teso come la corda d’un arco all’inizio, spompato come una ruota bucata alla fine, se si vuole come la curva dell’amplesso. Anna si separa da Vitaliano poco prima della morte dello scrittore (1954), e due anni dopo conosce un giovane, bello, e carismatico attore che si chiama Giorgio Albertazzi. Inizia il loro amore. Una relazione lunghissima, protratta fino alla fine, fratelli al tempo stesso, Amore e Morte ingenerò la sorte.  «Ci vedevamo spesso, voleva che l'aiutassi a morire, non sopportava il decadimento dei suoi sensi - ricorda Albertazzi -. Ma io, che pure credo nell'eutanasia, non ho mai avuto il coraggio di dirle di sì. Però la portavo fuori a cena per rallegrarla». Ed ecco che il bel Giorgio scopre la propria impotenza, che poi non ha niente a che fare con la sessualità in senso stretto, ma è l’inadeguatezza dell’uomo rispetto al destino. “Il bell’Antonio” in questo senso è leggibile come una parabola molto laica, nella quale si drammatizza nel primo tempo tutta la potenzialità creativa della bellezza, nel secondo il suo contrario. Le foto che ritraggono i due attori Anna e Giorgio da giovani, sono quel primo tempo, fantasticato da tutti, non solo da loro, che oltre a viverlo lo hanno rappresentato per noi, affinché potessimo parteciparne. Pagando l’ingresso, s’intende. “Il dolore è non vederla più. La morte, dopo averne tanto parlato, è alla fine un evento semplice, lineare”. Il dolore è un’immagine impossibile, che non si fissa nemmeno nei 15 film girati dalla Proclemer, ed anzi si sfascia quando i lineamenti cedono, lo sguardo cala. Perché sorte rima sempre con morte, quando amore separa due corpi, due anime, due attori, la potenza di Giorgio, l’impotenza di Antonio.

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