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PAOLO SORRENTINO,
IL DIVO ITALIANO A CANNES

PAOLO SORRENTINO, <br>  IL DIVO ITALIANO A CANNES

“Come da intercorse trattative telefoniche io ritorno via da Cannes/privo di risorse, urge vaglia telegrafico/fiduciosamente, Max”; sono passati tanti anni densi e confusi, da quando Sergio Caputo cantava ancora in italiano, evocando storie bohémien, equivalenti francesi alla nostrana Scapigliatura, ed oggi che al Festival di Cannes si scaldano i motori - la kermesse cinematografica aprirà i battenti il prossimo 15 maggio - è stata svelata la lista dei film in concorso alla 66esima edizione. Fiduciosamente pieni di risorse, questa volta. A concorrere per la Palma d'Oro sarà Paolo Sorrentino, il più scapigliato di nome e di fatto dei nostri poeti dell’immagine, con il suo “La grande bellezza”. E’ la presenza numero cinque per il regista de “Il Divo”, l’affresco espressionistico sulla figura di Giulio Andreotti. Questa volta la protagonista della pellicola è la città di Roma, che poi vuol dire ancora che la protagonista è la politica. Una foto dal set ritrae Jep Gambardella, 65enne scrittore e giornalista, in svaccato disincanto - che poi è sempre il gradissimo Toni Servillo - sdraiato in abito bianco su un’amaca, fissata su un terrazzo della città eterna, da cui si scorgono meravigliose rovine. Il film è ambientato tra dame d'alta società, arrampicatori, uomini di palazzo, grossi criminali, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita tra antiche residenze signorili, ville sterminate, e tetti mozzafiato della capitale. C’è la crema non scremata di tutta la città che conta o vorrebbe contare. Jep, con gli occhi perennemente annacquati di long drink (gin tonic nella fattispecie), assiste a questa sfilata d'umanità vacua e tramontante, potente e depressa (anche deprimente). C’è ogni fatica del vivere, camuffata da artificioso, svagato, annoiato divertimento. Tale atonia morale imbeve Roma, in estate, come s’ammorba l’aria dopo un temporale. Lei, la città, resta bellissima ma indifferente alle umane cose, come una diva morta all’obiettivo che la ritrae. Il film è dedicato alla memoria di Giuseppe D’Avanzo, giornalista scomparso prematuramente due anni fa, e molto intimo dell’autore de “Le conseguenze dell’amore”, che tanta parte di quella romanità aveva raccontato sulle pagine di “Repubblica”. “La grande bellezza” (che poi la parola “bellezza” è già una parola assoluta, darle della “grande”, pare un controcanto ironico), uscirà nelle sale il 21 maggio. Fino a poche ore fa, nell’affannosa ricerca di dare un Presidente al paese, qualcuno ha sperato in una svolta. Né a destra, né a sinistra: una svolta. Invece ha vinto il partito delle sabbie mobili. Nel rispetto dell’altissimo profilo di Giorgio Napolitanto (già ospitato in questa rubrica), nella sua riconferma c’è tutta l’impotenza della politica, o forse la potenza della sua autoconservazione. Se qualcuno vorrà capire da dove proviene tutto questo, il retroterra sta in ciò che ci racconterà Sorrentino, in ritorno da Cannes. Paolo: urge vaglia telegrafico.(Valerio De Filippis)

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