Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Antonio De Curtis, signori, Totò si nasce!

Il genio, si diceva in Amici Miei, “è fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione”, il genio è colui che tenta di vendere Fontana di Trevi, o detta una lettera con esiti di comicità pura, classica, e dunque pulita ed irripetibile, come solo Totò poté essere. Anche “Noio volevam savoir” chi è stato Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio De Curtis Gagliardi, più semplicemente Antonio De Curtis. Nato nella Napoli di fine Ottocento, attore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore, ma sopra ogni cosa maschera per eccellenza, capace di competere con quelle internazionali, gente come Buster Keaton o Charlie Chaplin; una abilità mimica notevolissima. Bastava una camminata a piedi larghi, l’esibizione ad arte di un mento prominente per riconoscere "il principe della risata". Il genio sta nell’unicità. Passava dal teatro al cinema alla tv, come un campione di tennis passa dalla terra all’erba passando per il cemento, con quella stessa disinvoltura. Novantasette film. Nove telefilm. Dalla tragedia alla commedia – le parti più brillanti diretto da Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque e Sergio Corbucci, quelle drammatiche con Alberto Lattuada e Pier Paolo Pasolini. L’autore di Ragazzi di vita, scriveva: “Nel fondo di Totò c'era una dolcezza, un atteggiamento buono e al limite qualunquistico, ma di quel tipico qualunquismo napoletano che non è qualunquismo, che è innocenza, che è distacco dalle cose, che è estrema saggezza, decrepita saggezza”. Lo trattava non come si poteva immaginare un intellettuale trattasse un attore, ma lo trattava da pari. Pasolini rifletteva per esempio sul linguaggio del principe: “La sua lingua è stata una specie di mimesi del dialetto o del modo di parlare del napoletano, del meridionale, emigrato in una città burocratica come Roma”. Uccellacci e uccellini, tiene insieme Antonio e Pier Paolo. Si legge nel sito dedicato all’attore di Miseria e Nobiltà che nei primi giorni di lavorazione di "Uccellacci" dilagava una perplessità reciproca tra Totò e Pasolini. Da un lato Totò, a riprese del film inoltrate, non riusciva a capire bene quali fossero le reali intenzioni dell’autore, dall’ altro Pasolini faceva fatica a contenere la personalità dell’attore dal quale non riceveva quel totale abbandono che richiedeva. Del resto erano mondi lontanissimi. Che è una fortuna per tutti quando s’incontrano, perché segnano la strada e poi ci aiutano ad orientarci nei momenti di smarrimento identitario in cui l’italiano ogni tanto cade. Perché: “Dunque: noi vogliamo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”.

(© 9Colonne - citare la fonte)