Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

SUD, SVIMEZ: PIL CRESCE
MA MENO CHE AL NORD

Dopo un 2020 nel quale la pandemia ha reso sostanzialmente omogenei gli andamenti territoriali nel Centro-Nord e nel Sud, marcando una profonda differenza rispetto ai disallineamenti del passato, la Svimez prevede che nel 2021 il Pil del Centro-Nord si attesterà a +6,8% mentre nel Sud crescerà del 5%. Il rimbalzo – si legge nel Rapporto Svimez 2021sull’economia e la società del Mezzogiorno presentato questa mattina a Roma - ci sarà per l’intero territorio italiano, ma con il Mezzogiorno che resta comunque, pur in un quadro generalizzato di ripresa economica, meno reattivo e pronto a rispondere agli stimoli di una domanda legata soprattutto a due fattori, le esportazioni e gli investimenti. L’export ha un effetto propulsivo più ampio nel Centro-Nord (+14,3% al Sud, + 16,5% nel resto del Paese). Gli investimenti in costruzioni, accelerano in entrambe le aree (+14,8% al Sud, +15,8% al Centro-Nord) ma tendono ad avere un impatto di traino all’economia più significativo al Sud.

Nel 2022 la Svimez prevede un aumento del Pil del +4,2% al Centro-Nord e del +4% nel Mezzogiorno. Nel biennio 2023/2024 si prevedono al Sud rispettivamente +1,9% il primo anno e +1,5% il secondo, mentre nel Centro-Nord il Pil crescerebbe del +2,6% nel 2023 e del +2% nel 2024. Nel quadriennio l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del PNRR al Sud rispetto al Centro-Nord, dovrebbe impedire al divario di riaprirsi. Ma la debolezza dei consumi, conseguente alla dinamica salariale piatta (15,3% di dipendenti con bassa paga nelle regioni meridionali rispetto a 8,4% in quelle centro settentrionali), al basso tasso di occupazione e all’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920 mila lavoratori meridionali (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord), frenerebbe la crescita. La Svimez stima che, dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci siano stati circa 10.000 espulsi dal mercato del lavoro, di cui il 46% concentrato nelle regioni meridionali. Di qui l’indispensabilità di un ruolo attivo delle policy. (30 NOV  - red)

(© 9Colonne - citare la fonte)